Che cosa è necessario? Che cosa è superfluo? Di cosa possiamo fare a meno e che cosa preferiamo trattenere per effimero nostro piacere?
Come per Stesso denso, pezzo per orchestra di un anno fa questo brano muove da alcune riflessioni sulla quantità come qualità. In questo caso, sul minimo da trattenere perché qualcosa abbia senso.
L’idea della ricerca del minimo indispensabile trova ad esempio un riscontro nel numero di strumenti impiegati nelle varie parti del pezzo. Difficilmente gli strumenti suonano tutti e tre insieme; la musica è affidata a un solo strumento, o a due; altre volte uno strumento porta avanti la musica e un altro ne è un semplice sfondo. Altre combinazioni vengono fuori a tratti e danno l’idea del trio solo nella visione globale del pezzo, non in quella locale.
Ecco già come la quantità diventa un parametro qualitativo: la presenza o l’assenza di uno strumento crea delle attese, dei vuoti, delle tensioni che sfiorano la teatralità.
Anche il materiale musicale è ridotto ai minimi termini; uno stesso gesto strumentale è sottoposto a continue micro - varianti, di modo che non sia mai uguale a se stesso, eppure sempre rapportabile a una propria identità.
Durante la scrittura di questo brano un’altra domanda mi è balenata più volte nella mente e ancora non ho trovato una risposta che mi acquieti: quanto e dove è necessaria la novità perché la musica vada avanti, senza cedere al fascino dell’ipnosi o cadere nel minimalismo? Quanto lo scorrere del tempo cambia la musica già soltanto per il suo trascorrere?
Impuro minimo è una sorta di laboratorio personale che mi ha fatto riflettere su questi temi. Ovviamente, la musica va poi avanti assecondando le proprie necessità, le proprie emozioni; sia la dicotomia assenza-presenza sia il tema dell’identità nella differenza sono due aspetti che trovano spesso deroghe e contraddizioni. Da qui, il termine impuro: la struttura, la consistenza e lo sviluppo della musica sono sfregiati e allontanati da un irreale candore. Un po’ come le pietre preziose, nobili materie solo per mano dell’uomo, perché la natura le mischia impietosa alla dura roccia.
Maurilio Cacciatore.